E’ curioso ragionare su quali siano le logiche per cui si aiuta chi chiede aiuto. È un gesto spesso involontario che sembra nascere dalla generosità. Credo, invece, che sia una forma di egoismo riflesso: lo compiamo perché ci fa stare bene, per qualche ora ci sentiamo meglio ricordando il fatto di aver ceduto il turno in cassa a una donna con un bimbo in braccio o l’aver donato due euro durante le maratone di solidarietà in televisione. Esasperando posso dire che paghiamo per sentirci bene, come lo facciamo quando ci prendiamo cura di noi stessi (che sia un libro, un massaggio o il dare un indicazione a uno straniero). Solo cambia la prospettiva: da chi chiede/vuole ottenere a chi dà/vuole ottenere. Non è un errore, è proprio così: ognuno vuole ottenere da uno scambio, solo è differente l’obiettivo e questo obiettivo può essere veicolato e massimizzato a secondo di cosa diciamo.
Proviamo a ragionare in questo senso applicando la stessa dinamica alla vendita. Chi chiede (e vuole ottenere la vendita del proprio prodotto) utilizza spesso delle parole focalizzate su se stesso : su come sia efficace il suo prodotto; su come sia forte l’esperienza che ha la sua azienda; su come il prodotto risponda alle sue esigenze in modo pragmatico, scientifico). Le parole sono scelte con questo obiettivo e sono una autoproclamazione di qualità e vantaggi sui competitors.
Raramente queste parole sono rivolte a chi acquista e ancor più raramente toccano i motivi di chi dà (e vuole ottenere un “qualcosa in più” da quel prodotto oggetto della vendita). Quel qualcosa in più non sono mai più informazioni tecniche (Internet sostituisce più che dignitosamente i venditori) né più sconto (per quanto importante, è difficile che non riguardi con sospetto qualcosa che è riempito di valori e costa poco); chi dà denaro vuole ottenere un’emozione. Questa è la differenza tra due prodotti uguali, la sensazione che va a generare nell’acquirente l’utilizzo di certe parole e/o l’utilizzo di un racconto che scateni degli entusiasmi, che ci faccia stare bene.
Trasformare un “Ho bisogno” in un “starai bene nell’aiutarmi a stare meglio” forse sarebbe differente. Forse. Perché le dinamiche umane di aiuto incondizionato sono sempre diverse dai bisogni che sentiamo.
Nell’ambito più pragmatico delle vendite per colmare un bisogno, invece, il cambio di prospettiva è la chiave di volta. Non vendere ma “far acquistare” è la differenza.
E per convincere ad acquistare bisogna attivare le emozioni, toccare la parte del cervello che è dominata da logiche che poi troveranno conforto nelle schede tecniche ma che, prima di tutto, sono di attivazione dell’attenzione per un particolare che ci fa rivivere per un attimo un pensiero, un suono, un’immagine cui siamo legati.
Perché per riuscire a vendere non è necessario raccontare storie. Ma far ricordare un prodotto attraverso un racconto diverso e il più possibile reale. È il cambiare punto di vista.
Proviamo a fare un passo indietro.
Per scrivere i romanzi, gli scrittori fanno ricorso alla “sospensione dell’incredulità” ovvero raccontano storie talmente ricche di dettagli presi dalla scientificità dei fatti, dalla quotidianità verificabile, da generare storie credibili. Storie che proprio per questo ti restano nella mente.
La stessa cosa è richiesta a coloro che, per mestiere, orbitano nell’ambito commerciale, dove la concorrenza sempre più forte non può essere giocata solo sul prezzo, sul perché, sulla qualità, sulla differenziazione: soprattutto all’estero, proporre prodotti e servizi partendo da un racconto, da come è nata l’idea è un atout indispensabile per farsi ascoltare e, soprattutto, per farsi ricordare. E per rimanere impressi nella memoria del consumatore occorre che il cliente sia più coinvolto nella narrazione del prodotto o del brand.
Attraverso lo Storytelling un prodotto/servizio riesce a essere:
• Compreso e riconosciuto: perché un racconto genera uno scambio di esperienze.
• Ricordato: perché un racconto è capace di trattenere nella mente quelle informazioni che altrimenti andrebbero perdute.
• Coinvolgente ed emozionante: perché un racconto efficace non è mai neutrale.
Quindi lavoriamo partendo dal perché: spesso è un problema, altre volte è una curiosità. Nella storia di ogni azienda (del prodotto, servizio o del brand) ci dev’essere il problema. Se un tempo si parlava delle virtù e degli aspetti positivi di quel prodotto/servizio, oggi deve accadere il contrario. Domandarsi qual è il problema del proprio target è una presa di coscienza importante.
Voltarsi a pensare cosa stiamo offendo noi rispetto al problema da risolvere è la prima parte della differenziazione: e la soluzione va raccontata dal perché si è pensato a quello, non dal come e cosa si è fatto. Quelli sono prodotti/ servizi/risultati. Il perché spiega da cosa si è partiti.. si racconta un percorso emotivo e la cinetica del pensiero è sempre più divertente del risultato (certo, poi la soluzione al problema la daremo)
E poi pensiamo al destino. Chiedersi qual sia la destinazione finale, cioè dove approdi il racconto che si vuole comunicare al proprio target. Ogni impresa ha la propria destinazione, vale a dire l’insieme di obiettivi da raggiungere: mercati da aprire, prodotti da vendere, team da formare. Saper individuare il destino è una delle cose più difficili ma indispensabili da fare. Il destino dev’essere coerente con i valori dell’azienda. Il racconto porterà i pensieri dal valore al destino.
Nei mercati maturi in cui le aziende si trovano a dover contendersi quote di clienti, la narrazione è un elemento differenziante. Un economista disse che “all’interno di mercati saturi la competizione è anche narrativa…si conducono battaglie narrative (battle of narrative) per avere la merce più preziosa: attenzione e memoria”.
Dunque le parole d’ordine del nuovo marketing sono: emozioni che il target vuole vivere; durata dell’emozione e della curiosità che porta a scoprire l’emozione; modalità di ascolto del racconto.
Che sia un articolo di un blog o un post su Linkedin o un video su You tube o un dialogo davanti a un cliente o a una platea in ascolto…raccontate le vostre storie. Se avete lavorato bene, vi ricorderanno e vi sceglieranno.
Francesca Vasini, Export Senior Consultant Sinapsi Group